giovedì 20 marzo 2008

Primo periodo - Scritto #3

Questo è il terzo scritto di Romeo. Forse uno dei più importanti.
Se lo conosco bene come credo, la storia raccontata è per gran parte veritiera.
Il racconto, brevissimo, si svolge in alcuni luoghi dove realmente Romeo ha vissuto.
Ricomporre lo scritto questa volta è stato molto faticoso: tagli, strappi, modifiche.
In origine doveva essere qualcosa di molto più corposo, quasi un romanzo breve, anche se non posso dirlo con certezza.
Quello che so, è che la ragazza della sua storia esisteva davvero. Purtroppo, il passato non è casuale.
Siamo alla svolta, il grande temporale finale descritto nel racconto (parte aggiunta a posteriori per terminare in maniera brusca il romanzo, a mio parere) è una parabola su quello che è successo nella relatà, e su quello che ancora sta accadendo.
Per Romeo l'estate finì, in un certo giorno di settembre.
Lo so per certo.
Ora, ci attende un lungo e buio inverno.
Questo è il terzo scritto, l'ultimo del primo periodo. D'ora in poi ricomporrò la parte delle "Cronache della follia".
E' la parte in cui si entra nell'Incubo.
Chi l'avrebbe mai detto, potrebbe essere stata la delusione d'amore a fare scattare la molla.
Dopo questo racconto, ancora pervaso da una sorta di slancio verso il futuro, ancora positivo e nonostante tutto ironico, Romeo cadrà in una fase allucinata, misteriosa e macabra.
Mi sento quasi di provare pena per lui, leggendo questo ultimo scritto.
E' quasi poetico, quasi dolce.
Forse non aveva previsto l'apocalisse, il baratro.

In ogni caso, rimanete collegati, perchè lui è già sulle mie tracce.
Ed io sulle sue.
Di nuovo.





Estate senza fine




Era un vecchio locale, quelli col fumo, le luci soffuse e tutto il resto.

Anche se per la verità le luci non erano precisamente soffuse, erano ingiallite dal fumo denso e dalla polvere. Sembrava un film in bianco e nero, anzi, in bianco e giallo.

No, era tutto giallo e marroncino; colore dei suoi capelli, del fumo attaccato alle pareti, della birra che scorreva a fiumi dai bicchieri abnormi che servivano in quella specie di cantina.

Quando LEI andò al bagno, la guardai camminare. Le fissai il culo e mi chiesi se veramente lo meritavo, un culo così.

Aspirai una sigaretta e mi rivolsi al mio compagno di tavolo:

- come ti sembra? -

- è una gran passera. -

- già. -

Ciucciai quel che rimaneva della birra.

Lei era una specie di ragazzina del tipo magrino-biondino con le lentiggini e la faccia da furba.

Un tizio una volta disse che le donne sono animali fondamentalmente stupidi.

Non saprei dire se sia vero, però bisogna ammettere che la cosa è facilmente riscontrabile. Lei, per esempio, non era affatto stupida, tuttavia aveva un’innocenza ed una trasparenza che la portavano a non rendersi conto di nulla. Queste caratteristiche possono sicuramente portare una donna nei guai. Non bisogna essere innocenti, se si è donne. Bisogna essere meschine e astute per ottenere sempre ciò che si vuole. Essere innocenti e pure significa essere vulnerabili, quindi probabilmente stupide. Era la mancanza di pudore, comunque, la sua più bella caratteristica.

Non era una tipa volgare, né tantomeno una stronza o una troia. Semplicemente faceva quel che le andava, quando le andava. Era così innocente da non avere pudore.

Ovviamente grandi chiavate.

Aveva sempre voglia, ed era sempre un piacere tuffarsi fra le lenzuola con quella faccia da furbetta.

Batteva le ciglia con una cadenza ed un’espressività che avrebbero fatto rizzare il cazzo ad Elton John.

Comunque.

Conobbi faccia da furbetta allo studio di Faso. Ce ne stavamo a cazzeggiare mentre ascoltavamo le ultime registrazioni.

Mi accesi una sigaretta, soffiai via il fumo: lei era lì davanti a me.

Non era vestita in modo appariscente, niente gonna, scarpe con tacco o roba del genere, niente di tutto questo. Era vestita molto semplicemente, scarpe sportive, pantaloni larghi sulle gambe ma molto bassi e stretti in vita, di quelli quasi cadenti, magliettina con scritta insensata tipo “University 25 o qualcosa di simile.

Quant’era bella però, Dio bono. Sono sicuro che sarebbe stata sexy anche con indosso una scatola di cartone. Cazzo, ci sono volte in cui non riesci proprio a resistere. Non so se si capisce di cosa parlo e non saprei nemmeno dire se sia amore. Io so solo che appena la vidi mi sentii come quando si prende una cotta per la compagna alle scuole medie, intendo una di quelle che resti a guardarla per tutta l’ora di matematica riuscendo solo a pensare quanto sia bella.

Ecco come mi sentivo, come un ragazzetto stupido di terza media.

Poi me la presentarono; mi sorrise, sorrise a tutti.

Solo che a me fece una sorta di cenno d’intesa, come se ci conoscessimo già (e in fondo forse era così, visto che io l’avevo sempre sognata, una faccia da furbetta).

Il suo migliore amico, Guido, un alcolizzato con lo stomaco ormai marcio, mi disse in seguito che le piacevo.

Così organizzammo per uscire la sera seguente.

Eravamo tutti noi del gruppo, più due stordite amiche di Gus e il cugino subnormale di qualcuno.

Faceva caldo, così ci fermammo a bere qualcosa di fresco in un locale di Porta Romana, la loro zona, la zona di faccia da furbetta e di Guido intendo.

La birra scorreva giù per gli esofagi con velocità incredibile e il caldo le dava una mano a stordirci. Ordinammo quindi anche del vino, per concludere la serata, dato che ormai la nostra sete orrenda era stata quasi spenta; fu a quel punto che Gus mi disse di volersi fare Faccia da Furbetta. Ovviamente non me lo disse così, mi parlò invece in modo schifosamente indiretto, come era solito fare Gus quando diventava viscido: “sai …ehm…quella Faccia da Furbetta…mi piace… e penso di piacerle…almeno intellettualmente…cioè per gli interessi in comune intendo…” e continuava poi, balbettando, con altre manfrine del genere.

Io annuivo, mandavo giù la birra rimasta nel bicchiere, e mi chiedevo se Gus avesse mai annusato una figa.

Ci avviammo verso casa e, mentre Gus cercava con gli occhi di attirare l’attenzione di Faccia da Furbetta, venne giù il diluvio universale. Così forte che Noè si sarebbe cacato sotto.

Illuminate dai lampi, due ombre spezzettate e sfuggenti si facevano mangiare dalla notte, lungo i luccicanti binari bagnati. Coperto dai tuoni, Gus era riuscito a svincolarsi dal gruppo, per poter accompagnare furtivamente Faccia alla sua abitazione.

Sapevo che quelle notti avrebbero mangiato anche me, ma ci ero forse abituato.

Vi ha mai mangiati la notte?

Col suo stomaco nero e sudato, vi ingoia e poi vi vomita a pezzi nel vostro letto.

Ovviamente la notte risputò anche faccia da furbetta e Gus, entrambi intatti e nei letti delle camere delle loro rispettive case.

Lo sapevo, sapevo che LEI voleva farsi mangiare dalla notte con me.

Quindi, poco tempo dopo, quel buco nero ci divorò, e noi ci sguazzammo.

Erano tempi tutto sommato felici, ascoltavamo tanta musica e ingollavamo tanta birra, leggendo anche qualche buon libro, di quelli che ti capitano per caso, quando meno te l’aspetti.

La giornata tipo era: sveglia quando si aveva finito di dormire, pasto a casa – se c’era qualcosa da mangiare – altrimenti fuori all’aperto, nel vecchio bar in fronte allo studio di Faso. Si mangiava un panino, qualche birra e poi una sigaretta al sole, sdraiati sull’erba del parco all’angolo, prima di entrare a registrare nello studio.

A volte ci incontravamo con il resto del gruppo, si pranzava tutti assieme. Ricordo ancora i Nergoni che si scolava Guido, uno dietro l’altro, senza fine. Poi vomitava, si puliva la bocca, ricominciava.

Ogni uomo dovrebbe avere la possibilità di vivere in questo modo, almeno ogni tanto.

Ci lasciamo consumare dalle ricchezze e dalle miserie, ci impazziamo, dietro ‘sta vita, Dio boia. Impegno, precisione, stile, buone maniere. Per poi non avere neanche una Faccia da Furbetta fra le braccia.

Ecco perché cercavo di godermi gli attimi, preziose schegge di bellezza, in mezzo questo delirio completo che, ce ne accorgiamo troppo tardi, è la vita.

A quei tempi tutto sembrava luminoso; vivevamo, io e faccia da furbetta, nel suo appartamentino, era disordinato ma davvero bello e in ottima posizione. Stavamo vicini al centro, potevamo uscire a passeggiare a qualsiasi ora, senza problemi di traffico, parcheggi, rompicazzi vari. Era davvero accogliente, forse un po’ tenuto male e forse anche impolverato, ma questo lo rendeva ancora più caldo. E poi lo sanno tutti che le facce da furbetta non sono molto brave nelle faccende di casa. Chissenefrega, poi, di come stirano. Hanno di meglio, loro, altrochè.

Uscivamo quando ne avevamo voglia, andavamo al parco a bere qualcosa e, se non si doveva registrare, si tornava a casa. Lei mi si avvinghiava come un leopardo. Davvero, era felina. Mi catturava, mi avvolgeva con i suoi muscoli bagnati, ed io ero SUO.

Spesso finivamo tardi di scopare e ci mettevamo sul terrazzo a mangiare quello che capitava mentre, sdraiati sulle piastrelle rosse e fredde, succhiavamo del vino guardando le stelle. Sentivo sulle labbra il sapore della sua carne e fra i denti quello del vino. L’amore ci bruciava, avevamo così caldo, ma stare lì sdraiati con il vento che ci accarezzava rendeva tutto indescrivibilmente speciale. Bisogna viverla una cosa del genere. I muscoli del corpo che si rilassano, la schiena calda e sudata che si appiccica al pavimento freddo, il suo viso stupendo per metà nascosto dai capelli chiari, sotto ai quali due occhi profondi ti illuminano rispecchiando i bagliori della luna. Sarei rimasto lì PER SEMPRE.

In quel periodo era sempre estate, una cosa incredibile, il caldo durò forse cinque mesi. E fu sempre ESTATE.

Bizzarrie del clima che forse accompagnavano il periodo più libero e rilassato della mia vita.

Avrà piovuto dieci volte a dir tanto in quei mesi, ma la natura non sembrava subire la siccità. Restava tutto fresco e verde, come in una sorta d’incantesimo.

Il caldo era forte, intenso. Spesso andavamo al fiume nel week-end; partivamo in 4 o 5 e raggiungevamo il Trebbia, non più lontano di un centinaio di chilometri. Ci stendevamo al sole, qualcuno stappava bottiglie e lattine, qualcun altro suonava.

Io invece rimanevo seduto sul mio telo, a guardare Faccia da Furbetta che usciva dall’acqua. Aveva un corpo fantastico, eppure non lo metteva in mostra come ogni altra donna avrebbe fatto al posto suo. La sua anima indossava il corpo con grandissima naturalezza.

Usciva dall’acqua, passandosi le mani sul capo, in modo da portare all’indietro i capelli bagnati, facendomi restare sorpreso dalla bellezza del suo viso. Gli occhi rapidi e umidi, i piccoli seni sorretti da quei muscoletti tipicamente femminili, i piedi con lo smalto nero sulle unghie. A CHIUNQUE sarebbe girata la testa, era davvero incantevole. Ed io ero, con altissima probabilità, innamorato di lei. Faccia Da Furbetta, che tipa poi! Troppo spigliata ma innocente per non intrappolare uno come me…

Già, spigliata e innocente. Era il giusto mix per farmi impazzire. Quando le parlavo, quando la guardavo, mi sembrava una ragazza senza passato. Avrebbe potuto essere un killer, un cazzo di sicario professionista, ma io non me ne sarei accorto.

Era bianca, candida per me.

Allo stesso tempo furba e intelligente come poche altre. Possessiva sì, ma non lo dava a vedere. Le altre ragazze non mi si avvicinavano perché capivano subito, Faccia Da Furbetta non avrebbe mai permesso.

Era, tutto sommato, una ragazza di sani principi, all’antica direi. Passionale e sanguigna, ma non perversa in maniere strane come quelle che oggi si incontrano nelle strade o nei locali.

Le piaceva fare l’amore e la vedeva come una cosa normale (d’altronde sarebbe anormale il contrario), senza pudore e senza vergogna, perché nulla vi era da vergognarsi.

Era un’estate senza fine, quella mia e di FDF.

Almeno così mi pareva, finché ci ero dentro.

Perché il pianeta aveva compiuto già tutto il cazzo di giro. Più e più volte. L’afelio si era allontanato, e noi andavamo verso la rottura.

Come un tuono che squarcia il cielo, un lampo che lo taglia in due.

Seguirono grandine e piogge.

Era iniziato tutto con un acquazzone, con Faccia da Furbetta e Gus che l’accompagnava. Chissà Gus cosa starà facendo ora. Avrà una casa, un lavoro, magari una donna.

No, non può esserci estate per sempre. Forse è questa la lezione che dobbiamo imparare, forse è il nostro compito, adeguarci.

Anche se ci mancheranno le stelle, il vento fresco, il vino con gli amici, le pause prima di riprendere a suonare, l’amore infantile, il sesso, il sudore, la musica, i plettri nelle tasche, le risate.

Dobbiamo adeguarci.

E imparare ad uscire da un sogno, prima che questo ci divori dall’interno.

venerdì 14 marzo 2008

aggiornamento - la caccia è aperta.

No, non può leggere il mio IP, anche se sono sicuro vorrebbe farlo. Sarebbe il modo più semplice per trovarmi, per fermarmi.
Romeo è ancora in città, sono sicuro. E' stato visto, di nuovo, aggirarsi per la notte in un luogo pubblico.
E' affamato. Devo trovarlo prima che lui trovi me.
Prima che trovi voi.

Buona caccia.



indizio: alla larga dai canali