giovedì 7 febbraio 2008

Primo periodo - scritto #2

Il seguente racconto, molto breve e denso di sarcasmo, è una chiara invettiva contro l'esagerata reazione pubblica rispetto al fenomeno dell'influenza aviaria.
Potrebbe essere il 2006, se i calcoli non annebbiano la mente di un povero scrutatore.
La data del funerale nel precedente racconto, forse, non è casuale.
Almeno non del tutto.



La Vera Storia del Mondo


La vera storia del mondo ci dice che in principio fu il Pollo.
Il Pollo arrivò sul nostro pianeta cavalcando un asteroide.
Scommetto che non siete in grado di immaginare un Pollo che viaggia su di un asteroide.
Invece il Pollo arriva sulla terra a cavallo della roccia spaziale e non si brucia a contatto con l’atmosfera grazie all’armatura fatta di uno speciale materiale ceramico. Un’armatura di penne refrattarie, insomma.
Immaginate ora il Pollo sulla Terra. Temporalmente parlando siamo a circa 3.5 miliardi di anni fa. Il pianeta era in subbuglio: eruzioni e terremoti.
Il Pollo, entità divina, parte e tutto del Dio che noi poveretti immaginiamo con la barba, cominciò a tramutare l’atmosfera terrestre grazie ai batteri azotofissatori che ospitava sotto le pieghe delle zampe. Niente più zolfo quindi, ma ossigeno (il Pollo respira meglio l’ossigeno, ma la sua emoglobina può trasportare qualsiasi elemento).
A quel punto il Pollo decise di creare una nuova forma di vita sulla Terra.
Ci mise 6 giorni, poi al settimo si riposò.
Dai suoi escrementi si svilupparono i protozoi e da quel brodo primordiale le cellule procariote iniziarono a formare la vita come oggi noi la conosciamo.
Tutta la vita è frutto della merda del Pollo. Anche il Pollo stesso.
Il Pollo è entità divina e suprema, dalle sue feci nasce il nostro mondo.
Oggi, nel più recente periodo della storia dell’uomo (figlio del Pollo), si è sviluppata una tremenda malattia che colpisce i Polli.
Non è un semplice virus.
Il Pollo è Dio, Dio non si preoccupa dei virus.
Ma questa non è una semplice epidemia, è un Piano. Un Piano per allontanare definitivamente Dio (cioè il Pollo) dal nostro pianeta.
Per millenni, nel cuore dell’Asia più umida e ripugnante, sono state invocate le tremende entità diaboliche che vivono balenando ai confini dell’universo.
L’uomo, essere inferiore e malvagio, ha deciso di cacciare la vita di Dio dal nostro pianeta.
Le mistificazioni cominciano a funzionare, i Polli cominciano a morire.
Dio ci sta lasciando per sempre.
La nostra Terra trotterellerà per lo spazio-tempo senza meta. Andremo alla deriva universale, scagliati contro stelle mortuarie, mentre all’interno di un buco nel suolo asiatico, i Grandi Maghi rideranno del destino umano.
È nera e umida come una fossa, la sorte dell’uomo.
La saggezza e l’amore del Pollo non ci apparterranno più. Ora vagheremo nell’universo in cerca di una stella con la quale collidere.
E noi, sui continenti, andremo errando assetati di sangue in cerca dei maledetti Maghi.
Ma non li troveremo, saranno già stati trasformati in uova.
Pronte per essere lanciate nel ventre buio dell’universo.

venerdì 1 febbraio 2008

Il Fascicolo - scritto # 1

Ecco il bacino primario, il ramo di ordine primo.
Tutto nasce dal Fascicolo. Ritrovato in circostanze poco chiare, è la prova dell'eterno ondulare del Pendolo.
Il mio ruolo non è importante, devo solo ricomporre i pezzi, riportarli al posto giusto. Perchè essi combaciavano, sono sicuro.
Il Fascicolo è un insieme di scritti, più o meno brevi, che Romeo ha steso durante la sua permanenza in città. Sono scritti a mano, su fogli piuttosto confusi, senza riferimenti temporali. L'unico segno che li riconosce è la NUMERAZIONE.
Ho cercato di dare un senso a questo materiale.

Questo è il primo racconto di Romeo:

# 1

Il giorno del mio funerale

27 aprile 2006, il giorno del mio funerale. Faceva caldo, terribilmente caldo.
Si crepava.
Avevo le ascelle completamente sudate e le gocce sulla fronte acceleravano pazze a 9.8 m/s² per andarsi a schiantare sulle fibre di cotone della maglietta.
Ero vestito di nero, intanto perché è uso vestirsi di nero ai funerali in segno di rispetto e cordoglio per il lutto, poi non volevo essere troppo appariscente. Mi piace restare nell’anonimato in certi casi, sapete com’è.
Comunque, ero lì che guardavo la gente piangere mentre mi sotterravano. Cazzo mi spiaceva veder quella situazione.
Ero morto, ma che ci vuoi fare, prima o poi tutti saliamo su di una mercedes.
Decisi di passare in rassegna le persone che affollavano il perimetro della fossa, così per rendermi conto della situazione.
Laura, mio Dio, erano 2 anni che non la vedevo. Che culone aveva, di quelli grossi e duri, come solo una donna piena di sé può avere. Grosso e duro, ma per niente rivoltante, anzi. Ci si godeva parecchio tra quelle natiche di carne dura.
In fianco a Laura potevo vedere chiaramente i miei amici, piangevano come delle fontane, qualcuno aveva come degli attacchi di panico, mentre l’unico tranquillo era Marco.
«Bravo Marco, non piangere. Non serve a niente. Dai, su, sto bene, dillo agli altri che non è successo niente»
Marco capì. Gli altri no. Non smisero di piangere. Cazzo, quanto piangevano, non mi sembrava vero che tutta quella gente piangesse così per me.
C’era il “secco” che piangeva con Marzia, c’erano Mirko e Daniele in un angolo disperati.
Rossi in viso, gli occhi di fuori, tutti bagnati di lacrime e sudore. Mi guardarono e sembrarono dirmi «è così bello vederti, ci sei mancato tanto». Me lo dicevano forte, lo urlavano sulla mia faccia. «Perché sei scappato via?!?!».
Ma io non ero scappato, ero lì. Vedevo tutti e cercavo di rasserenarli.
Mi diressi verso i miei genitori, mia madre in agonia e mio padre come non l’avevo mai visto. Era fuori di testa, solo rimaneva lucido e silenzioso. Ma aveva la faccia di quello che si è rotto. Intendo dire che si è rotto dentro, spezzato, frantumato, denaturato, bruciato, arso, inciso, scavato, lacerato, corroso.
Parlando con i miei familiari, riuscii a tranquillizzarli tutti, meno mio padre ovviamente, il quale rimaneva in uno stato di silenziosa e distaccata sofferenza.
I miei fratelli mi salutavano invece con tranquillità, chiedendomi con un sorriso cosa si prova a morire, se si sente male, se si vede qualcosa “aldilà”. Io risposi che non lo sapevo proprio che cosa si prova. E in effetti non ne avevo la più pallida idea.
Ad un certo punto del mio dialogo fui interrotto da un’amica, Giulia.
Era sconvolta letteralmente. Trasudava dolore. Ma chi cazzo se l’aspettava di causare tutta questa sofferenza?? Non lo avrei mai fatto, se l’avessi saputo. C’erano CENTINAIA di persone col capo chino al suolo, bruciate dal sole, con occhiali scuri macchiati dalle lacrime e dalle impronte delle dita. Centinaia di persone che erano lì per me (bhè no magari qualcuno era lì perché ci doveva stare o perché “ci andavano tutti”), che responsabilità di merda, far male alle persone.
In ogni caso Giulia si diresse verso di me urlandomi contro, era incazzata, ed era stata male.
Una femmina in queste condizioni è come l’olocausto nucleare.
Mi si aggrappò al collo. «che cazzo di scherzo è questo?!?!? Cazzo ci fai qui?!?! Sei morto o sei vivo?!?! Chi sei tu?!?!».
Insomma le risposi: «non posso neanche partecipare al MIO funerale?», «non ho mai posseduto un cazzo, questo almeno lasciamelo. Sarò libero di venire e andare quando mi pare?».
Praticamente, avevo capito che era meglio lasciar perdere, la gente era troppo sconvolta. Dovevo aspettare e lasciare che la mia sepoltura finisse nel più canonico dei modi.
Pensavo che mi sarei andato a trovare una volta ogni tanto con qualche amico, almeno all’inizio. Poi avrei continuato le visite con i parenti, fino a continuare coi genitori quello che si può definire un vero e proprio pellegrinaggio.
Avrei visto la mia lapide arricchirsi di foto e di oggettini, come si usa fare, soprattutto con i defunti di giovane età.
A che serve avere una bella tomba?
Una bella lapide, con tanti ricordi. A che serve?
Far sapere alla gente che ascoltavo la musica, che ero un tipo sportivo. A che serve?
Forse il significato non lo riuscirò a cogliere mai.
In fondo, sono morto.


Incipit

Ciao,
non ricordo il mio nome. Non posso conoscere con esattezza la mia posizione.
Tutto quello che so, che conosco, è raccolto negli scritti di Romeo. La sua vita e i suoi pensieri sembrano legati ai miei.
Potrei scommettere che, scrutando con maggiore attenzione, mi accorgerei di avere già letto, visto, vissuto queste storie.
Lo sfondo di una città grigia, la nebbia che si muove caoticamente sotto un lampione.
Non ci siamo forse tutti dentro questo?
Romeo lo sapeva, io l'ho scoperto trovando i suoi scritti. Altro non posso dire, potrei compromettere tutto.
Io sono la sua nemesi.